La pubblicità che ci è stata fatta -case di riposo e simili- durante quest’anno non è stata delle migliori ma è comprensibile: su qualcosa bisognava dirottare l’attenzione.
Non faccio nomi, non cerco pubblicità, visibilità o altro: sono una di quelle persone a cui piace tenere i fili, stare dietro le quinte e godersi lo spettacolo, che non ambisce alla ribalta ma che a volte ha bisogno di condividere il proprio mondo con qualcuno dotato di quel minimo di sensibilità per comprendere e riflettere.
Questa pandemia credo abbia dato, a chi più e a chi meno, più di uno spunto su cui riflettere tra un susseguirsi tumultuoso di contraddizioni e vane speranze.
Ricordo quando neanche i discepoli di Gesù aspettavano il suo pane ed il suo vino come noi le mascherine promesse dalla protezione civile, almeno da quel che sentivamo in televisione: immaginavamo che da un momento all’altro ne sarebbero piovute a cascata.
Ricordo poi quando, non vedendo nessuna cascata su di noi, riuscii a reperire la prima confezione da 10 mascherine a 50.00€: una volta indossate sembravamo Sailor Moon con lo scettro lunare, eravamo intoccabili con la nostra monouso sporca e puzzolente, lavata e rilavata, col filo rotto e rilegato su sé stesso.
Ricordo una delle nostre operatrici, che anziché portare croissant per la colazione portava con lo stesso entusiasmo le mascherine antinfortunistica del padre o quelle fantasiose cucite dalla zia: la prendevo in giro perché sembravano tovaglie, ma è proprio con quelle tovaglie che ha protetto lei e le nonne.
Ricordo quando noi tutti facevamo i lavaggi di testa a mio fratello di 16 anni sul comprendere la gravità dell’infezione e la necessità di non toccarsi, quando il suo migliore amico si diede ad un ciclismo sfrenato per giustificare le sue uscite di casa per raggiungerlo oppure quando a maggio pianificammo un colpaccio con la complicità del padre della sua fidanzata per ricongiungerli dopo 3 mesi di lontananza: per giustificare lo spostamento il padre dichiarò in autocertificazione che nella ns struttura c’era una zia della ragazza alla lontana, molto alla lontana, ed io formalizzai una richiesta di visita straordinaria in sede laddove si richiedeva la presenza della nipote per necessità comprovate.
Racconto liberamente perché non temo i processi morali, credo ci sia ben altro di cui vergognarsi.
I loro 16 anni non glieli avrebbe ridati nessuno: amor omnia vincit, anche il COVID19.
Ricordo quando Annetta, una delle nostre nonne che ha lasciato questo mondo il 9 gennaio 2021, impazziva letteralmente quando la mattina vedeva su Radio Italia il video futuristico di “bimbi per strada”: ogni volta che la sento penso al suo musetto sorridente che si gira e mi fa “guarda quanto so’ belli i bambini che ballano così…”.
Ricordo quando mi fu promesso dalla ASL per conto del Comune di Roma un permesso, ancora in attesa, affinché, pur non essendo un sanitario, avessi potuto evitare le interminabili file settimanali per la spesa delle nonne perché il nostro fornitore abituale, Esselunga, ci aveva interrotto l’approvvigionamento fino a data da destinarsi.
Ricordo quando mi contattò l’addetta di Esselunga per delucidarmi sulla sospensione improvvisa e si mise a piangere al telefono perché ammetteva che mancavano le risorse concrete per sopperire all’improvvisa impennata di richieste, nonostante la volontà di attrezzarsi il prima possibile.
Ricordo anche la soddisfazione della stessa signorina di Esselunga quando mi chiamò per dirmi che erano riusciti a riattivarci la fornitura e a sbloccarci i limiti previsti per l’acquisto dei farinacei.
Ricordo quando agli albori della pandemia (marzo-aprile 2020) gli ispettori dell’azienda sanitaria locale venivano a monitorare la situazione, quando ci chiedevano delle mascherine ed io facevo vedere le fatture pagate ma i blocchi delle dogane o anche quando facendoci spallucce giravano i tacchi complimentadosi per gli sforzi ma riportandosi indietro i DPI confezionati perché avevano costatato che tanto noi li avevamo, seppur a distanza.
Infine ricordo quando mi aggiravo disorientata per il Carrefour in preda ad un mix d'angoscia, rabbia e sconforto.
Abbandonata nella semi-deserta corsia di pasta e farine con un miliardo di pensieri, resto folgorata dal packaging di questa pasta: spaghetti Di Martino - Dolce e Gabbana.
Consapevole della semplicità, li prendo e penso che quello sia un regalo che devo farmi.
Questo pacco di pasta, tutt'oggi integro e orgogliosamente ben in vista, rappresenta la mia personale gratificazione, quella che solo noi stessi possiamo riconoscerci e di cui spesso abbiamo bisogno.
Questo è il mio COVID19 che fu.
Scrivi commento